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      814 Finalmente, nel 1396, passata così tutta la generazione che aveva conosciuto, odiato, temuto o invidiato Dante, la Repubblica fiorentina cercò d'aver le reliquie del Poeta, e decretogli un sepolcro. Ma non avendo mai potuto averle dalla città di Ravenna, dismesse il sepolcro; che non fu fatto poi se non vuoto, e, come dicemmo, nell'anno 1829.815 Così, in tutto il 1300, quel secolo in che fondossi, compiessi e prese sua natura la nostra bella lingua, niuno, nulla fu studiato tanto di gran lunga come Dante. Dei due altri padri di essa, vedesi che il Boccaccio professavasi come scolaro di lui; e il Petrarca, non professandosi, l'imitò sovente, cadendo quando volle mutarlo in un poema, superandolo sì forse nella finitezza delle poesie fuggitive; gloria che avrebbe dovuto bastargli. Del resto, i nostri tre trecentisti sono i soli fra' moderni prima della stampa, che sien rimasti classici, e così, equiparati agli antichi, sieno porti dall'opinione universale all'imitazione altrui. Ma Petrarca e Boccaccio ajutarono ed ajutano per la loro facilità alle volgari e servili imitazioni; mentre Dante, tra le sue altissime nubi, scampa molto più dal servo gregge. Due imitatori ebbe tuttavia fin dal trecento: Fazio degli Uberti nel Dittamondo, e quel Cecco d'Ascoli che vedemmo carteggiare con esso, ed emularlo in dispute filosofiche; che fece in terza rima un poema italiano opportunamente intitolato l'Acervo o Mucchio o Zibaldone,* quantunque scritto non senza disinvoltura; ma che in esso morde aspramente Dante.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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