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      Tal che di comandar io la richiesi.
      Lucevan gli occhi suoi più che la stella;
      E cominciommi a dir soave e piana,
      Con angelica voce in sua favella:
      O anima cortese mantovana,
      Di cui la fama ancor nel mondo dura,
      E durerà quanto 'l moto lontana;
      L'amico mio, e non della ventura,
      Nella diserta piaggia è impeditoSì nel cammin, che volto è per paura;
      E temo che non sia già sì smarrito,
      Ch'io mi sia tardi al soccorso levata,
      Per quel ch'i' ho di lui nel cielo udito.
      Or muovi, e con la tua parola ornata,
      E con ciò che ha mestieri al suo campare,
      L'aiuta sì, ch'io ne sia consolata.
      I' son Beatrice, che ti faccio andare:
      Vegno di loco, ove tornar disio:
      Amor mi mosse, che mi fa parlare.
      Quando sarò dinanzi al Signor mio,
      Di te mi loderò sovente a lui.864
      Tacette allora, e poi comincia' io:
      O donna di virtù sola, per cuiL'umana specie eccede ogni contento
      Da quel ciel ch'ha minori i cerchi sui;865
      Tanto m'aggrada 'l tuo comandamento,
      Che l'ubbidir, se già fosse, m'è tardi:
      Più non t'è uopo aprirmi il tuo talento.
      Ma dimmi la cagion che non ti guardiDello scender quaggiuso in questo centro,
      Dall'ampio loco ove tornar tu ardi?
      Dacchè tu vuoi saper cotanto addentro,
      Dirotti brevemente, mi rispose,
      Perch'io non temo di venir qua entro.
      Temer si dee di sole quelle coseCh'hanno potenza di far altrui male:
      Dell'altre no, che non son paurose.
      I' son fatta da Dio, sua mercè, tale,
      Che la vostra miseria non mi tange,
      Nè fiamma d'esto incendio non m'assale.866
      Donna è gentil nel ciel, che si compiange867
      Di questo 'mpedimento ov'io ti mando,


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





Beatrice Dio