271). È probabile che di là passasse a Bologna.
Pag. 334. – un'epistola assai lunga che incomincia: Popule mi, quid feci tibi?
L'autor del Veltro pone la data di questa lettera (in contraddizione del Witte) prima del giugno 1304, cioè prima dell'impresa della Lastra; poichè, dic'egli, in giugno 1304 non avrebbe dovuto più chiedere ai Fiorentini che male avesse lor fatto. E benchè si creda col Balbo; che Dante non fosse a quella impresa, non si potrà negare la parte che vi prese nella guarentigia rogata nel coro della badia di San Gaudenzio. Se non che, potrebbe altri al contrario trar da ciò argomento per lasciare la data di quella guarentigia al 1307, com'è nel Pelli, anzichè riportarla al 1304, come vuole il Troya.
Pag. 336. – Giovanni di Monferrato.
Non già nel Convito, ma nel lib. I del Volgare eloquio, al Cap. XII, fa Dante menzione di cotesto Giovanni da Monferrato. Vedi più giù la nostra nota alla pag. 257, v. 27.
Pag. 340. – alleviate.
Leggerei avvilite per alleviate; perocchè dicendo Dante ch'egli s'era fatto vile, par regolare che dicesse poi essersi le sue cose senza dubbio seco avvilite.
Pag. 342. – Qui parmi inintelligibile, epperciò certo guasto, il testo (in nota.)
A me par chiaro; come sembrò allo scrittore della Rivista Europea. Gli animali bruti sono interamente mortali e sono senza speranza di altra vita; quindi, noi che abbiamo questa speranza, se essa fosse vana, saremmo molto più imperfetti degli altri animali. Però, cacciando via quel cioè d'altra vita, che forse sarà un glossema intruso nel testo, leggerei a questo modo: Onde, conciossiachè molti che vivono interamente siano mortali (cioè sieno interamente mortali) siccome gli animali bruti, e sieno senza questa speranza tutti (cioè tutti questi che vivono e sono interamente mortali) mentrechè vivono, se la nostra speranza ec.
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