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      Il leone, come ognun sa, era l'impresa di Firenze, la lupa di Siena, di Lucca la pantera o lonza: il verso Molti son gli animali a cui s'ammoglia qua sarebbe una poetica traduzione del proverbio che correva intorno alla lupa sanese, rammentato da Dino Compagni. In una poesia del XV secolo, pubblicata dal Mansi (Testi di lingua inediti, Roma 1816) e intitolata Lamento di Pisa, leggesi:
      Vedi il lion d'ogni vicin nimicoChe di Toscana presa ha già ogni fiera;
      Vedi che la pantera (correggo così)
      Trema già tutta, e l'affamata lupa.
      Ma di questo non più; e mi si permetta di passare a esporre un altro mio sogno, che forse ha qualche maggior fondamento. Nella supposizione che le tre fiere dinotin vizii, da cui Dante era stato distolto dallo studio della filosofia, come mai si potrà dare alla lupa il senso allegorico di avarizia? come mai supporre che Dante si confessi avaro? egli sì acre vituperator degli avari? Più tosto, come già osservammo, egli si confessa un tantino invidioso, un po' più superbo, e molto lussurioso; ecco dunque la lonza dinotar l'invidia, il leone, la superbia, e la lupa, come sempre, la lussuria: o pure, se vogliasi tor di mezzo l'invidia, sarà la lonza il parteggiare: o pure in fine (e questo più si avvicina a quanto dice il Balbo nelle note ai versi 109-111 del primo Canto), lasciando la lonza per la lussuria e il leone per la superbia, prendasi la lupa per l'invidia, dicendo appunto il Poeta che la lupa fu dall'invidia dipartita dall'inferno, e rappresentando pure la parte guelfa figlia dell'invidia contro l'Impero.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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