Pag. 403. – un Veltro, cioè un ghibellino dell'Italia meridionale.
Parleremo in seguito intorno al Veltro.
Pag. 405. – Vogliono gli uni, che sia presa l'idea dal Tesoro di Brunetto Latini.
Dal Tesoretto, non dal Tesoro. Ci fa sapere la Rivista Europea, che nell'Alphabetum Tibetanum di A. R. Giorgi v'ha una tavola, a pag. 487, figurante un Inferno simile al dantesco. A me pare che l'idea primordiale non da altri gli potesse esser suggerita, che dal VI dell'Eneide.
Pag. 407. – Deh quando sarà fatta adeguatamente tal'opera?
E qui voleva almeno accennarsi il lavoro di Ferdinando Arrivabene.
Pag. 408. – Anche questo è diverso dalle fabbriche e figure dell'inferno da me conosciute (in nota).
Signor no. Il Poeta dice chiaramente, dopo aver veduti i dappoco, dopo esser stato tragittato da Caron dimonio, ch'egli si trovò sulla proda della valle d'abisso dolorosa; e poi seguita,
Or discendiam quaggiù nel cieco mondo.
Allora entra nel primo cerchio scendendo (IV, 23), e allora trova quivi i morti senza battesimo. Di modo che, quelli che visser senza infamia e senza lodo, e i cattivi a Dio spiacenti ed a' nemici sui, non fanno parte dell'Inferno, ma ne occupano l'anticamera.
Pag. 410. – gli avari e gli scialacquatori, scagliandosi a vicenda enormi pesi.
Gli avari e prodighi non si scagliano a vicenda enormi pesi; ma voltando pesi per forza di poppa, venivano a cozzi, a giostra, percotevansi incontro. E al Canto XI, v. 72, ripete, parlando di essi:
E che s'incontrar con sì aspre lingue.
Pag. 415. – Dante, parlando di questi Sardi del secolo XIII, usa due modi di dire di lor paese lasciar di piano, e Donno (in nota.
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