Quel giorno soltanto Grandet permetteva che si cominciasse ad accendere il fuoco nella stanza, e lo faceva spegnere il trentuno marzo senza tener conto dei primi freddi della primavera, né di quelli dell'autunno; uno scaldapiedi pieno di brace prese in cucina e serbate con destrezza dalla grossa Nannina aiutava le due donne a passare con minor disagio le mattinate e le sere piú fresche dell'aprile e dell'ottobre. Esse avevano cura di tutta la biancheria di casa, e compivano con tanta scrupolosità questo lavoro da operaie, che, se Eugenia voleva ricamare qualche collaretto per la madre, bisognava che rubasse un paio d'ore al sonno, ingannando il padre per avere un po' di luce; da un pezzo l'avaro aveva adottato il sistema di consegnar lui stesso a Eugenia e alla domestica una candela, allo stesso modo come distribuiva la mattina il pane e quanto serviva per il consumo della giornata.
Nannina era forse l'unica creatura umana capace di accettare il dispotismo del padrone, e la città intera invidiava quella domestica alla famiglia Grandet. La chiamavano "grossa" per la sua statura di cinque piedi e otto pollici; era al servizio dell'ex-sindaco da trentacinque anni e, benché non avesse che sessanta lire di salario, la si riteneva per una delle piú ricche donne di servizio di Saumur. Infatti quelle sessanta lire accumulate in trentacinque anni le avevano permesso di collocare a frutto da mastro Cruchot circa quattromila franchi, e tale risultato di continue economie era parso a tutti enorme; cosí ogni domestica, vedendo che quella povera vecchia a sessant'anni aveva il pane assicurato, si rodeva di gelosia e non pensava alla dura servitú con cui se l'era guadagnato.
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