Nel famoso anno 1811, in cui il raccolto costò stenti inauditi, dopo vent'anni di servizio, Grandet risolse di regalare il suo vecchio orologio a Nannina, e fu il solo dono che ella ricevesse da lui; poiché, sebbene fosse solito di darle anche le sue scarpe vecchie, che si adattavano benissimo ai piedi di lei, era impossibile addirittura considerarle come un regalo, tanto erano consunte dall'uso. La necessità rendeva cosí avara quella poveretta, che il bottaio aveva finito per amarla come s'ama un cane, ed essa s'era lasciata mettere al collo un collare guarnito di punte che non la pungevano piú... Se Grandet tagliava il pane con troppa parsimonia, ella non si lamentava e prendeva parte allegramente ai profitti igienici che procurava quel sistema severo nella casa, dove mai nessuno era ammalato. E poi la Nannina apparteneva alla famiglia; rideva quando rideva Grandet, era triste, aveva freddo, si scaldava, lavorava con lui. Che dolce compenso in quell'eguaglianza! Mai il padrone l'aveva rimproverata per i frutti che riusciva a mangiare sulla pianta stessa. - Va, prendi pure, Nannina, - le diceva il vecchio negli anni in cui i rami piegavano sotto il peso dei frutti, e i fittavoli eran costretti ad ingrassarne i maiali.
A una donna di campagna che in gioventú era stata sempre strapazzata, a una poveretta raccolta per compassione, il riso equivoco di papà Grandet sembrava un vero raggio di sole, tanto piú che l'anima semplice e il cervello limitato di Nannina non potevano fermarsi che a un sol sentimento e ad una sola idea.
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