In Carlo ed in lei era un medesimo bisogno di confidarsi, e, dopo qualche minuto di chiacchiere maliziose e di frizzi, l'astuta provinciale, senza farsi sentire dagli altri, i quali parlavano dell'argomento allora prediletto a Saumur, la vendita dei vini, poté sussurrargli:
- Signore, se vorrete onorarci in casa, n'avremo un gran piacere io e mio marito! La nostra sala è l'unica in città che accolga l'alto commercio e l'aristocrazia. Noi apparteniamo ad ambedue queste classi, e solo da noi i migliori della città vogliono incontrarsi perché vi si divertono. Mio marito, lo dico con orgoglio, è stimato egualmente dagli uni e dagli altri. Cercheremo insomma di rompere la noia del vostro soggiorno qui. Guai a rimanere in casa del signor Grandet! Vostro zio è uno spilorcio che non vede oltre le sue vigne, sua moglie è una pinzochera incapace anche della minima idea, e vostra cugina è una scioccherella senza educazione, una ragazza comune, senza dote, continuamente occupata a rammendar stracci.
- È abbastanza a modo questa donna - pensò il giovane.
- Mi sembra, moglie mia, che tu ti voglia accaparrare il signore - osservò ridendo il grosso e gran banchiere. -
A quella frase il notaio e il presidente si lasciarono sfuggire parole piú o meno insinuanti: ma l'abate li guardò con aria d'intelligenza e ne riassunse i pensieri, tirando una presa di tabacco e offrendo in giro la tabacchiera:
- Chi meglio di lei - disse - potrebbe fare al signore gli onori di Saumur?
- Ah, questo poi come lo potete giudicare, signor abate?
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