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      Di fronte alla porta murata era quella della camera di Eugenia, e piú in là, in fondo al pianerottolo, si apriva l'appartamento dei due coniugi, che occupava tutta la facciata della casa. La signora Grandet aveva una stanza contigua a quella di Eugenia, in cui si entrava per un uscio a vetri: la camera del padrone era separata da quella della moglie mediante un tramezzo, e dal misterioso studio mediante un grosso muro.
      Papà Grandet aveva stabilito che suo nipote dormisse al secondo piano, nell'alta soffitta posta al disopra della sua stanza, in modo da poter udire quando al giovane fosse venuto l'estro di muoversi.
      Eugenia e la madre giunsero in mezzo al pianerottolo, si scambiarono il bacio della sera; poi, dopo aver detto a Carlo qualche parola d'addio, fredda sulle labbra ma ardente certo nel cuore della giovane, si ritirarono.
      - Eccovi in camera vostra, nipote, - disse papà Grandet a Carlo, aprendogli la porta. - Se avete bisogno d'uscire, chiamate Nannina, perché senza di lei, caro mio, il cane vi mangerebbe addirittura. Buona sera e buon riposo... Ah, ah! le signore vi hanno acceso del fuoco? ... -
      In quel punto veniva su la grossa Nannina con uno scaldaletto.
      - Ed eccone ancor dell'altro! - riprese. - Eh, vi sembra forse che mio nipote sia una donnicciuola?... Porta via quella brace, Nannina.
      - Ma, signore, le lenzuole sono umide, e poi, a dir la verità, questo giovanotto è delicato come una donna.
      - E avanti dunque, giacché te lo sei messo in testa, - aggiunse il vecchio spingendola per le spalle; - ma bada bene a quello che fai.


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Eugenia Grandet
di Onorato di Balzac
pagine 215

   





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