- Signorina - gridò dalla finestra - non è vero che desiderate un pasticcio?
- No, no! - rispose Eugenia.
- E sia! - disse Grandet nell'udire la voce della figlia - prendi. -
Aprí la madia ov'era la farina, ne consegnò una misura, e aggiunse qualche oncia di burro al pezzo che già aveva tagliato.
- Ci vorrà legna per accendere il forno - osservò l'implacabile Nannina.
- Prendine - soggiunse il vecchio con aria malinconica; - ma allora potrai farci una torta di frutta e cuocere al forno il pranzo intero; cosí non accenderai due fuochi.
- Non c'era bisogno di dirmelo! - esclamò la fantesca, mentre Grandet le dava un'occhiata quasi paterna. Poi, rivolgendosi ad Eugenia: - Padroncina, avremo il pasticcio!
Papà Grandet tornò carico di frutta e ne posò una bracciata sul tavolo della cucina.
- Che stivali ha vostro nipote! - gli disse la domestica. - Guardate il cuoio: ha un odore cosí buono! Con che mai dovrò pulirli? Con la vostra vernice all'uovo?
- Nannina, forse l'uovo guasterebbe quel cuoio... D'altra parte tu non conosci il modo di lustrare il marocchino... giacché è proprio marocchino! ... Comprerà lui stesso a Saumur quello che occorre... Ho inteso dire che si mescoli anche dello zucchero nella vernice per renderla brillante.
- È dunque buona a mangiare?... chiese l'altra avvicinando il naso agli stivali. - Hanno lo stesso profumo dell'acqua di Colonia della signora! È proprio una bellezza.
- Bello? - disse il padrone; - ti par dunque bello spendere negli stivali piú di quanto valga chi li porta?
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