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      Idem, medaglie, preziose per gli avari, una rarità, cioè tre rupie col segno della bilancia e cinque con quello della Vergine tutte di oro a ventiquattro carati, moneta magnifica del Gran Mogol, quotata trentasette franchi al peso, ma cinquanta e piú, per i conoscitori. Idem, il napoleone di quaranta franchi, avuto due sere innanzi e gettato pure nella borsa rossa. V'erano in quel tesoro monete nuove e vergini, vere opere d'arte di cui Grandet s'informava e che chiedeva gli si mostrassero, spiegandone minutamente alla figliuola le qualità intrinseche, come la bellezza della filettatura, la chiarezza del disco, la precisione della leggenda; ma ella non pensava a questo, né alla mania del padre, né al pericolo cui sarebbe andata incontro col disfarsi del geloso tesoro; no. Pensava invece al cugino e con alcuni calcoli laboriosi giunse finalmente a capire come ella possedesse circa cinquemila ottocento franchi di valore effettivo, che in commercio avrebbero potuto fruttare quasi duemila scudi. Alla vista delle sue ricchezze fu assalita da un impeto di gioia fanciullesca, e non seppe trattenersi dal battere le mani. In tal modo padre e figlia avevano verificato il proprio oro, l'uno per venderlo, l'altra per abbandonarlo alla improvvisa onda di affetto che l'invadeva. Rimise quindi nella borsa il denaro, la prese e risalí senza esitare, dimentica dell'ora notturna, delle convenienze, forte del sentimento nobilissimo dell'anima sua. Quando apparve sull'uscio con la candela in mano, Carlo si destò sorpreso; ma la ragazza con voce un po' incerta gli disse subito:


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Eugenia Grandet
di Onorato di Balzac
pagine 215

   





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