Alla seconda colazione, gli giunsero lettere da Parigi.
- Come vanno, cugino, gli affari? - domandò la ragazza sottovoce.
- Non si domandano certe cose, figliuola, - osservò il padre. - Che diamine! Ti metto io forse a parte degli affari miei? Ed allora perché ficchi il naso in quelli di tuo cugino? Lascialo stare, quel ragazzo.
- Oh, ma non ho segreti, io! - protestò Carlo.
- Ta, ta, ta, nipote, imparerai fra breve che in commercio bisogna saper tenere a posto la lingua.
Non appena i due innamorati furono soli in giardino, il giovane disse ad Eugenia traendola a sedere accanto a lui sul vecchio banco, all'ombra del noce:
- Non m'ero sbagliato rivolgendomi ad Alfonso; egli ha regolato ogni cosa con lealtà e prudenza. Cosí non debbo piú nulla a Parigi. Ha venduto i mobili e mi scrive di avere acquistato, per consiglio di un Capitano di lungo corso, per tremila franchi di specialità europee, che si smerciano con molto vantaggio nelle Indie. Ha diretto i colli a Nantes, ov'è un bastimento in carico per Giava. Fra cinque giorni bisognerà dirci addio, Eugenia, forse per sempre, ma certo per lungo tempo, giacché la scarsa merce e diecimila franchi che ricevo da due amici sono un tenue principio. Potrò soltanto pensare al ritorno dopo varii anni, e quindi, cugina cara, non rischiate con la mia la vostra esistenza... Per me non è difficile l'ipotesi della morte, mentre a voi può capitare un ricco matrimonio...
- Ma... mi amate? - chiese Eugenia.
- Oh, sí, sí, tanto! - egli rispose con la voce piena del sentimento che l'invadeva.
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