Non si può dire con quanta severità si giudicasse la condotta dell'avaro e come gli si scagliassero contro. Mentre passava se lo mostravano a dito mormorando, ed allorché la fanciulla scendeva giú per la via tortuosa insieme a Nannina, tutti si affacciavano per guardare curiosamente la ricca erede e il suo volto soffuso di mestizia e dolcezza angelica.
Ma a lei non pesavano quelle angherie, poiché le restava da contemplare il mappamondo, il piccolo banco, il giardino e il pezzo di muro, e sulle labbra sentiva ancora la soavità dei baci d'amore. Per un pezzo nulla seppe delle ciarle, e religiosa e pura innanzi a Dio trovò nella coscienza e nell'amore la forza di sopportar lo sdegno e la vendetta paterna. Ma d'un intimo profondo affanno era oppressa per il continuo deperire della madre, e spesso acerbamente si rimproverava d'essere stata causa involontaria della lenta malattia che l'aveva colpita. Tali rimorsi, che la buona donna cercava di distruggere, la vincolavano sempre piú stretta alla passione dell'anima, ed ogni mattina quando Grandet era fuori, correva al capezzale dell'inferma, ove la domestica le portava la colazione. Ma la povera Eugenia con un muto gesto d'infinita tristezza indicava a Nannina quel viso disfatto e piangeva, non osando parlar del cugino; era sempre la signora Grandet la prima a chiedere:
- Ma dov'è egli? perché non scrive?
- Ci basti il pensiero, mamma, e non se ne parli. Voi soffrite, e bisogna badare a voi innanzi tutto.
- Figliuola, - ripeteva l'altra - io non rimpiango certo la vita.
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