Passarono cosí cinque anni d'una esistenza monotona, in cui le stesse cose vennero di continuo a ripetersi con la regolarità cronometrica della vecchia pendola. Tutti conoscevano oramai la profonda mestizia della signorina Grandet, ma dalla sua bocca non sfuggí parola che potesse farne sospettare il motivo. I tre Cruchot solamente e qualche loro amico frequentavano la casa, divertendosi la sera a giuocare al whist con lei. Poi nel 1825 il vignarolo, accasciato dalle infermità, credette utile palesarle il segreto delle sue ricchezze immobiliari, consigliandola di ricorrere al notaio in caso d'incertezza; sul finire di quello stesso anno, già oltre la ottantina, fu colpito da paralisi, per i cui rapidi progressi il signor Bergerin lo giudicò bell'e spacciato.
All'idea di rimaner fra breve sola nel mondo, Eugenia sentí piú forte l'ultimo vincolo di affetto che la legava al padre, e fu sublime di abnegazione e di cure verso di lui, già mezzo rimbambito, ma sempre invasato dal demone dell'avarizia. Fin dal mattino si faceva trascinare sulla sedia presso il caminetto della sua camera di fronte alla porta dello studio, certo pieno d'oro, e vi restava immobile, fissando con ansia alternativamente quelli che lo visitavano e il robusto uscio foderato di ferro. Voleva essere informato delle cause del menomo rumore e, con grande meraviglia del notaio, riusciva a percepire gli sbadigli del cane giú nel cortile. Da quella stupidità apparente si destava nei giorni e nelle ore in cui si dovevano riscuotere i fitti, chiudere i conti con i campagnoli e rilasciare le ricevute.
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