La sera, quando la sala si empí dei soliti assidui, ella comparve. Non mancava nessuno, essendosi sparsa in un batter d'occhio la voce del ritorno di Carlo e del suo sciocco tradimento; ma la curiosità rimase insoddisfatta, poiché neppur l'ombra delle dolorose emozioni che la travagliavano trasparí dal volto sereno di Eugenia. Con aspetto lieto si rivolse a coloro che si credevano in obbligo di dimostrarle il compatimento con sguardi e parole malinconiche, e seppe celare la propria sventura sotto un velo di amabilità.
Verso le nove finí il giuoco tra le solite discussioni sui conti reciproci e sulle ultime combinazioni del whist, e, mentre tutti si alzavano per congedarsi, vi fu un improvviso colpo di scena, che ebbe eco a Saumur, nel dipartimento e nelle quattro prefetture vicine.
- Trattenetevi, signor presidente - disse Eugenia a de Bonfons nel momento ch'egli prendeva il bastone.
Una profonda commozione assalí il crocchio a quelle parole, e il presidente, divenuto pallido pallido, fu costretto a sedersi.
- I milioni son per lui - osservò la signorina di Gribeaucourt.
- Lo sposa, non v'è piú dubbio! - esclamò la signora d'Orsonval.
- Questo è il miglior punto della partita - soggiunse l'abate.
- È un bello schleem - fece il notaio.
Ognuno volle dir la sua, ognuno lanciò un motto, e tutti si videro davanti la bella erede sul piedestallo dei suoi milioni. Dopo nove anni il dramma volgeva alla catastrofe. Dire cosí in pubblico al presidente di trattenersi non indicava chiaro com'ella volesse accettarlo per marito?
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