- Donna, tu sarai fedele al tuo consorte.
- Sarò fedele, ribatté ella, se tu lo meriterai.
- E in che modo potrò meritarlo?, chiede Macario.
- Mostrandoti gentile verso la tua sposina.
- E quali prove domandi della mia gentilezza?
- Voglio uscire, ogni giorno, in cocchio; e voglio andare, ogni sera, a teatro; e voglio che tu, al ritorno, mi aiuti a toglier la veste di gala e ad indossare l'abbigliamento notturno.
- Così sia!, conclude Macario.
Seduta entro suberba carrozza, la coppia felice percorre i grandi viali. E, al suo passaggio, le donne e gli uomini arroventan gli sguardi, quelle per strinar gli abiti e questi per incendiare il cuore di Clorinda. Da ogni parte, giovani languidi e adulti pacati e olezzanti vegliardi salutano con profonde scappellate e con misteriosi cenni e con sorrisetti arguti la sposa, mentr'ella si sventola civettuola e con misteriosi cenni e con sorrisi e cenni e un lieve chinar del capo risponde. E sembra fata, che attraversi un campo di spighe, piegate dal soffio del vento. Ad ogni tratto di strada, poi, Clorinda impone che il cocchio si fermi e, chiamato a sé un qualche amico, con lui sottovoce confabula, sporgendosi tutta all'infuori. La sua inguantata manina è prigioniera, durante il colloquio, di due mani virili; la doppia ciliegia della bocca, quasi fosse oasi di riposo nella conversazione, è sfiorata di tempo in tempo dall'ape di una bocca di maschio. E inutilmente Macario urta del gomito e comprime il piede della consorte: e inutilmente si contorce sul sedile e sbuffa, sudando.
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