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      Quella sera, Polonio fu invitato a prender posto a una mensa sfolgorante di cristalli e carca di cibi e ricca di vini prelibati. Mangiò e bevve, egli, in silenzio, fissando il nipote con pupille ormai quasi dileguate nella buia profondità delle orbite.
      Mangiò a crepapelle, bevve a garganella; poi, disse con voce tetra:
      - Mi lodo di aver sperato in te sin quasi a questo momento.
      - Perché il quasi?, balbettò Macario.
      - Perché due ore or sono ho dettato un altro testamento al notaio.
      - Lo distruggerai!, gridò Macario.
      - Troppo tardi!, gemette lo zio Polonio.
      E si accasciò sulla sedia, pronto per il sepolcro.
      Or mentre Macario registrava sull'effemeride "Ho peccato di prodigalità: e inutilmente", qualcuno bussò all'uscio. Era il venerando esculapio, che recava tristi notizie.
      - Sappi, disse il savio medico, che Clorinda tua è molto malata. Poiché un morbo crudele afflisse, di recente, anche te, il cuor tuo, ricordando i dolori sofferti, si mostrerà, certo, benigno. Clorinda teme di morire: e vorrebbe rivederti, e, forse, domandarti perdono.
      - Qual è la malattia?, chiese Macario.
      - È una punizione, ahimè!, di peccati. O Venere, come sei dolce ed aspra ad un tempo verso i tuoi fedeli!
      - Rimanga, Clorinda, con Venere!, proruppe Macario. I suoi tormenti non saranno mai uguali a quelli, ch'io sto provando, poiché s'ella ha il rimorso d'essersi procacciata troppo presto la morte, io ho il rimorso maggiore di averla procacciata troppo tardi.
     
      XVIII
     
      I rimorsi, suscitati dal banchetto orgiastico e dalle sue luttuose conseguenze, stimolaron Macario a macerarsi con rinnovato ardore la carne.


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Il beato Macario
Romanzo mattacchione
di Pierangelo Baratono
pagine 59

   





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