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      I superiori esigevano rapporti compilati nelle debite forme e rigorosamente oggettivi. Lui, invece, saltava di palo in frasca e ficcava un po' dappertutto le sue personali considerazioni e conclusioni. I superiori sentenziavano sempre: Chi va piano va sano; il troppo zelo nuoce. Lui, invece, sbrigava in quattro e quattr'otto le sue incombenze e pretendeva che gliene dessero subito altre. I superiori si rallegravano nel vedere svolgersi i servizi, fra gli ingranaggi delle norme e delle consuetudini, con la pacata regolarità delle strisce da telegrammi. Lui, invece, era sempre lì a proporre modificazioni, suggerire riforme, decantare la virtù dell'olio sulle ruote dell'amministrazione.
      - Ma c'è il regolamento!, - mugolava il capo-sezione.
      - Se ne crea uno nuovo, - ribatteva lui.
      - Ma è sempre andata bene così, - sbraitava il capo-divisione.
      - Andrà meglio in un altro modo, - affermava lui.
      Dovettero levarlo dal posto di fiducia e metterlo a regime: revisione di conti al mattino, protocollo nel pomeriggio.
      Il nostro uomo nei primi tempi, data la novità del lavoro, tenne gli occhi ben spalancati: e già rimuginava, anche in quel campo, progetti di radicali mutamenti.
      Ma, col trascorrer dei giorni, cominciò a far ciondolare la testa, a chiudere ora una palpebra, or tutte e due; sonnecchiò, s'appisolò, si svegliò di soprassalto, s'appisolò di nuovo e finì col dormir della grossa.
      Le ultime fisime eran scomparse. Ma, in compenso, il nostro uomo fu nominato cavaliere: e, beato come un papa, s'avviò con la sua croce verso la vecchiaia.


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Commenti al libro delle fate
di Pierangelo Baratono
Fratelli Treves Milano
1920 pagine 119