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      Ma potevan tender tranelli! Non c'era verso di acchiapparlo! Infine, a furia di sentir proteste e minacce, i parenti decisero di liberarsi del giovane arruolandolo come soldato.
      Il furbo non disse nè sì nè no, firmò la carta che gli presentarono, e partì, lasciando i compaesani che sembravan mantici, tanto respiravano forte.
      Si trovava nel reggimento da pochi giorni: e già i compagni vedevano in lui una specie di divinità. Figuratevi! Aveva insegnato a fabbricare cartucce a salve e a vendere quelle col proiettile; a sostituire le galline per la mensa degli ufficiali con pollastrelli spolpati; a pigliare, come purga, un pizzico di scialappa e a rimanersene tutto il santo giorno in panciolle per guarire dalla malattia. E fu un vero delirio, quando il giovane spiegò come si salti la sbarra di nottetempo senza correre il rischio d'esser scaraventati in prigione. "È semplice, disse: si comprano da un rivendugliolo tre o quattro mantellacci e altrettanti berretti vecchi da ufficiale; poi, per turno, tre o quattro di noi se li ficcano sulle spalle e sul capo, ed escono, salutati dalla sentinella". Volevan portarlo in trionfo.
      Scoppiò la guerra. Il furbo, ai primi colpi, cadeva disteso al suolo: e c'era sempre qualche graffiatura di spina, che dimostrava il pericolo corso. Rifattasi la calma sui campi, egli, malgrado la ferita, correva ad aiutare le monache e gli infermieri nelle loro pietose ricerche e, nei momenti propizi, alleggeriva da ogni peso superfluo quei dolenti che dalla divisa ricca di filettature gli apparissero più bisognosi di respirare con libertà.


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Commenti al libro delle fate
di Pierangelo Baratono
Fratelli Treves Milano
1920 pagine 119