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      Il reggimento del giovane si accampò a qualche centinaio di metri da un ponte, sul quale, l'indomani, doveva passare il nemico. Calata la notte, il furbo chiamò a sè qualche compagno tra i più fidati. "Dobbiamo compiere una grande impresa, disse: seghiamo in parte le assi del ponte; e all'alba ci sarà da ridere vedendo il capitombolo e il bagno di quei macachi laggiù". E dentro di sè pensava: Se mi va bene, divento colonnello in un batter d'occhio.
      Andò più che bene. Ma un amico corse ad avvertire il giovane che il consiglio di guerra s'era già radunato e stava preparando tre accuse contro di lui: abbandono temporaneo del campo: deterioramento arbitrario di un bene demaniale, qual è un ponte: grave offesa alla disciplina, poichè non si può tollerare che l'iniziativa personale si sostituisca agli ordini superiori; e tutto ciò con l'aggravante terribile dello stato di guerra. "È la fucilazione certa!", singhiozzò l'amico.
      Ma quando si recarono a cercare il giovane furbo, non ne trovarono più neppure la traccia.
     
     
     *

     
      Cammina, cammina, il giovane arrivò, che il sole era già calato da un pezzo, davanti ad una grande città. Le porte erano spalancate: e nessuno a guardarle. Il giovane entra, imbocca una strada larga e diritta: anche lì, deserto. Solo, di quando in quando, spiragli aperti al livello del suolo lasciavan sfuggire un po' di luce, zaffate di vino e canti affievoliti di bevitori. Il giovane svolta in una via secondaria, s'avanza fra l'ombre senza imbattersi in creatura vivente, aguzza l'occhio e l'orecchio: tenebre e silenzio dovunque.


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Commenti al libro delle fate
di Pierangelo Baratono
Fratelli Treves Milano
1920 pagine 119