Pareva, insomma, che un bizzarro malocchio sviluppasse la sua influenza sovra gli invitati più giovani. Giorno per giorno aumentava il numero degli invalidi e il turbamento del castellano; da ogni parte, ormai, si scorgevano membra bendate, si udivano gemiti, strappati dal dolore e subito soffocati con eroismo: e i suoni della musica più non facevano danzare che qualche uomo adulto o già vecchio e qualche coppia di damigelle miracolosamente unite dal bisogno di consolarsi a vicenda.
Una sera il castellano, salito sul torrione del palazzo, s'affacciò al merlato spalto per contemplare l'argenteo tremolìo delle scintille lunari, spioventi sui boschi e cullantisi come gocce di rugiada entro il calice delle foglie. Ma il suo sguardo, abbassandosi verso le sottostanti penombre, scorse con meraviglia e terrore il più strano spettacolo del mondo: la foresta era popolata di gentiluomini, i quali, a due a due, da ogni canto, tra albero e albero, incrociavan con furia le spade. Il castellano corse giù per le scale, volò attraverso gli appartamenti ed entrò a precipizio nella camera della moglie. Ma subito le sue orecchie furono colpite da due grida di spavento, e i suoi occhi videro un giovanetto in camicia passar loro ratto davanti, scavalcare il balcone e sparire come un bianco fantasma.
- Questa è, dunque, la iettatura!, - urlò il castellano: - rivalità di debosciati che si battono per il possesso della mala femmina!
La donna, inginocchiata ai suoi piedi, singhiozzava:
- Fai di me ciò che ti piaccia; ma non mi uccidere.
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