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      - S'io fossi una di quelle principesse, potrei sperare nel vostro soccorso, prode cavaliere?, - chiese ridendo la ragazza.
      - Mi ucciderei, se ne dubitaste; - rispose il giovane.
      - E che chiedereste in compenso del vostro valido aiuto?, - insistè lei annaspando con una mano nell'ombra e toccando, oh senza volerlo!, la chioma ricciuta dell'ospite.
      - La punta delle vostre piccole dita per sfiorarla con un timido bacio.
      La ragazza battè un piedino contro terra.
      - È vero che i mostri denudavan le principesse per incatenarle alla roccia?, - chiese dopo qualche minuto di raccoglimento.
      - Ahimè, sì. Ma i cavalieri bennati volgevano altrove lo sguardo per non profanare la purità delle membra femminee.
      - Dovevan esser ben brutte quelle principesse!, - susurrò la ragazza.
      - Oh, eran belle, invece, quasi al pari di voi!
      - E s'io fossi stata legata nuda da un mostro e liberata dalle vostre armi, avreste distolti gli occhi, prode cavaliere?
      - Mi ucciderei, se ne dubitaste; - rispose il giovane solennemente.
      - È tardi, e la grotta è umida; - concluse la ragazza alzandosi.
      S'avviarono in silenzio. Il giovane sospirava, e la ragazza soffocava gli sbadigli.
      Nei giorni seguenti l'ospite continuò a discorrere, a guardare la padroncina di casa e a sospirare. Ma l'esempio di quest'ultima era divenuto contagioso. Da ogni parte non si vedevano che bocche contorte nello spasimo della noia, non si udivano che soffi di mantici sempre meno repressi. Il giovane tentò di resistere. Ma i servitori gli porgevano le pietanze ciondolando il capo dal sonno e la ragazza non si vedeva più comparire.


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Commenti al libro delle fate
di Pierangelo Baratono
Fratelli Treves Milano
1920 pagine 119