O cara placida virtù, che procedi, avvolta entro un verecondo sudario, verso il sudario definitivo! Lenta cammini, con i piedi ben caldi nelle pantofole imbottite: e ignori gli squassi di chi senta la vita troppo angusta per gli ampii voli dell'immaginazione; e non temi i pericoli, cui muove incontro chi non vada adagio, come fai tu, ma corra e si scagli. Eppure, a volte, qualcosa di simile a un desiderio ti punge gli stinchi pigri e un barlume di pena ti guizza nel cerebro nebbioso e una specie di rimpianto ti gonfia il minuscolo cuore. Non vergognartene, o virtù, poichè questi sono i segni di un destino, al quale tu hai rinunciato per fiacchezza o paura. E i tuoi stinchi e il cuore e il cervello sanno che, nonostante la formuletta, solo all'uomo, fra tutte le creature terrestri, è dato di non morire: ma all'uomo che, spregiando le tue panacee, si avventi, col corpo e con l'anima, verso i rischi e le glorie di una vita eccessiva.
La tua, o virtù, è una fatica di Sisifo. Invano, di secolo in secolo, porgi la tazza della cicuta o il pane dell'elemosina o il dileggio della stoltezza. L'umanità continua a sussistere per gli uomini, che tu hai uccisi col veleno o col sarcasmo. L'umanità non sei tu: è Socrate, è Dante, è Baudelaire. E tu, puritana mediocrità assillata dagli scrupoli e dai timori, sei soltanto la penna, che scrive quei nomi sulle pagine della storia. Rimani, dunque, alla tua comoda finestra, o virtù. E se udrai salir dalla strada la rauca voce di De Musset ebro o vedrai passare Oscar Wilde a braccetto di lord Alfredo Douglas, ridi, ridi forte, ridi liberamente.
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Edgar Poe
di Pierangelo Baratono
Formiggini Editore 1924
pagine 58 |
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