Così, acqueterai l'uggia, che in fondo in fondo tu provi, di non poter distillare, dalle vinacce delle tue cantine, una Confessione di un figlio del secolo o di non poter raccogliere, dal fango dei tuoi vizi mediocri, una Ballata della prigione di Reading.
Ma tu continui, imperturbabile, a falciar tragiche vittime e a piangere, ipocritamente, sovra le tombe, scavate dalle tue stesse mani. Non pietà nè scrupoli ti trattengono: e il tuo volto terreo che, sovra la fronte sfuggente, mostra impresso l'assioma "La virtù sta nel mezzo", non conosce la porpora della vergogna. E, tuttavia, tu impallidisci se qualcuno, drizzandosi davanti a te e sfidando la tua maligna acredine e il tuo cupo livore, legga i grandi atti di accusa della storia e ti rammenti con voce commossa la nobiltà delle tue vittime e le miserie della loro esistenza.
La nobiltà e le miserie di un Edgar Poe, per esempio.
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Una comitiva di attori passa, peregrinando di città in città, a traverso gli Stati Uniti d'America. Sono, quelli, gli anni febbrili, in cui un popolo di emigranti e di avventurieri tenta i primi sforzi per imporsi, come una giovine stirpe, alla vecchia Europa. Sul nuovo carro di Tespi, fra gli smunti e tetri compagni, dominan le grazie e trabocca la vivacità di una donna. Al suo fianco sta il marito, David Poe, che rinunciò alla monotona esistenza borghese per divenire un randagio commediante e apportare, nel branco istrionico, la propria melanconica fierezza e un nome, reso illustre dal padre nella guerra per l'indipendenza americana.
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Edgar Poe
di Pierangelo Baratono
Formiggini Editore 1924
pagine 58 |
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