Ma, anche in piena felicità, una tristezza ammonitrice grava sull'anima di Poe e lo spinge a scrivere a Kennedy: "La mia situazione è, per molti aspetti, gradevole: e tuttavia mi sembra, ahimè!, che nulla possa più, ormai, darmi piacere o una pur minima contentezza. Voglia scusarmi, caro Signore, se troverà molta incoerenza in questa lettera. I miei sentimenti, oggi, sono davvero lamentevoli. Soffro di un accasciamento, come non ne ho mai provato uno uguale. Ho lottato invano contro l'influsso di questa melanconia. Sono infelice, e ne ignoro il motivo. Mi consoli, se può. Ma si affretti a farlo, o sarà troppo tardi..... Mi provi che è necessario ch'io viva.....mi persuada a compiere ciò, che occorre compiere... abbia pietà di me".
I sentimenti di Poe sono presentimenti. Pochi mesi trascorrono. E, improvvisa al pari della fortuna, sopraggiunge la sventura. Edgar, licenziato dalla rassegna, si trova di nuovo sul lastrico.
Qualcuno gli aveva scritto: "Credo fermamente che tu sia sincero in tutte le tue promesse. Ma, Edgar, ho motivo di ritenere che, se tu rimetterai il piede in quelle strade, le risoluzioni s'involeranno e le tue labbra si tufferanno di nuovo nel liquido sino a farti perdere i sensi. Affidati alle tue sole forze, o sei perduto!... Fuggi la bottiglia e i compagni bevitori!". Lettera di onest'uomo che, guidato dal buon senso, comprende e prevede le altrui debolezze, ma ignora l'inutilità dei consigli e degli sforzi per vincere le tenebrose leggi della fatalità. Se Poe fosse stato una creatura normale, l'onest'uomo non avrebbe avuto neppur bisogno di scrivergli.
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Edgar Poe
di Pierangelo Baratono
Formiggini Editore 1924
pagine 58 |
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