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      Gli americani, stupefatti e indignati, dícevan di lui ciò che la letteratoide Sarah Whitman volle ripetergli, un giorno: "Ha grandi facoltà intellettuali, ma nessun senso morale." Solo qualche ingegno superiore intravide la sua possanza e s'affacciò sul mistero della sua anima. E Longfellow, lo scrittore dilaniato da Poe nella serie di articoli intitolata, appunto, La guerra di Longfellow, sollevò un poco il velo e intuì una parte della verità, affermando: "Non ho mai potuta attribuire la violenza delle sue critiche se non all'irritazione di una natura sensibile, inasprita da qualche vago sentimento d'ingiustizia". E Lowel, inchinandosi nobilmente e onestamente, gli scrisse: "Stroncami pure a tuo beneplacito; ti leggerò sempre con uguale rispetto e con maggior soddisfazione di quanta mi procurin le molte lodi, che ricevo".
     
     
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      La mediocrità, se ben si osservi, è, in fondo, apollinea: non vuole contorsioni nè sbalzi nè squilibrii. Per questo, trova solo nell'arte apollinea un valore facilmente ravvisabile e non ostico, anzi degno di un rapido consenso. Ed ha, con gli artisti apollinei, un magnifico punto di contatto: l'invidia. Oh, il livore del bellissimo Iddio greco verso il trasandato rivale! E che triste condanna, quella pronunciata da Apollo vincitore contro il vinto Marsia! Se la sfida di Marsia fosse apparsa, alla prova, il frutto di una presuntuosa vuotaggine, egli avrebbe ottenuto, certo, compatimento e serbata intatta la pelle. Ma Apollo dovè intuire nel competitore una forza, cui il tempo avrebbe donato ala e ampio volo.


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Edgar Poe
di Pierangelo Baratono
Formiggini Editore
1924 pagine 58

   





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