Oggi, siamo avvezzi alle audacie scientifico-utopistiche degli imitatori di Poe, da Verne a Wells, da Villiers de l'Isle-Adam a Carlo Dadone. Ma esse non ci consenton mai di toglierci dal campo del fittizio e del fantastico, dall'atmosfera della letteratura, anche se questa sia destinata, come accadde per l'ingegnosissimo Verne, a tradursi, poi, in realtà di scoperte scientifiche. Con Edgar Poe, le cose procedon diversamente. La sua arte di donar colori di naturalezza all'assurdo era tale, da trarre ognuno in inganno. Anche questa è vera virtù americana: virtù, per la quale il paradosso è concepito e formulato con così esperta meticolosità, con così stringenti argomentazioni, da apparire non fantastico, ma solidamente reale. Per comprenderne la forza convincitrice, basta leggere, per esempio, La verità sul caso del signor Valdemar. Ogni frase è calcolata per l'effetto finale e onde dare a questo l'indiscutibile apparenza del vero. Attraverso un resoconto giornalisticamente semplice e trasandato nella forma, scrupoloso nei particolari, svolto come una rete sempre più fitta, sempre più catturante, il paradosso mistificatore si sviluppa con una tale naturalezza e con una logica così ferrea da non far dubitare, neanche per un attimo, che ci troviamo, anzichè nel mondo dei fatti, nel regno dell'immaginazione. La minuzia del resoconto, sciorinato con placida indifferenza di giornalista avvezzo a non meravigliarsi di nulla, e il susseguirsi di episodii, tutti possibili se non probabili, non ci porgon modo nè agio di soffermarci a controllare le nostre impressioni, a indagare se vi sia tranello.
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Edgar Poe
di Pierangelo Baratono
Formiggini Editore 1924
pagine 58 |
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