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      E il brusco scioglimento ci sorprende così fulmineo, da non permetterci di ragionare sovr'esso. Per un attimo, lo vogliamo o no, abbiam creduto a quel corpo di uomo ipnotizzato in punto di morte, che si trasforma rapidamente in putredine sotto l'opera risvegliatrice del magnetizzatore: per un attimo, lo vogliamo o no, siamo rimasti vittime della mistificazione.
      Ma il desiderio del paradosso, in un temperamento sensibile ed eccessivo, si risolve sempre in un amore per l'assurdo in sè, per il mistero, qualunque esso sia. E l'anima irrequieta di Poe, la sua natura di profondo analizzatore, bramoso di risolvere i problemi più difficili e più astrusi, dovevan necessariamente spingerlo a non accontentarsi di semplici giuochi mistificatori, ma a volgersi con ardore verso i regni più inesplorati del mondo umano e trascendentale.
      Anche qui, ritroviamo in Poe i caratteri della sua razza. Egli possiede, difatti, in sommo grado, la massima virtù americana, l'abbagliante luce che rischiarò il cammino agli Stati Uniti: la facoltà, ossia, essenzialmente pratica del calcolo, che permette di risolvere qualunque difficoltà teoretica e, ben adattando i mezzi allo scopo, di trasformare la teoria in realtà. Poe era troppo privo dell'arma più efficace nella lotta per l'esistenza, la volontà, e, inoltre, seguendo i propri sogni di poeta, troppo disdegnava il mondo reale per poter trarre frutto, nella vita quotidiana, da questa sua virtù di calcolatore. Ma, a differenza degli scrittori di altre razze, egli non fu soltanto un letterato: fu un uomo che, quando circostanze speciali lo esigevano o lo consentivano, abbandonò il campo astratto dell'arte e passò, senza sforzo alcuno, nel campo concreto dei fatti.


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Edgar Poe
di Pierangelo Baratono
Formiggini Editore
1924 pagine 58

   





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