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      Sopportare per rimanere! Non è lo stesso motto di Poe? Ma quale santo o qual poeta scioglierà alla Pazienza un inno degno di questa sublime virtù, che accompagna l'uomo di genio nel suo doloroso calvario e lo accomuna col pensoso asinello, così mal conosciuto e misconosciuto dal mondo? Anche nel mistero cristiano, un profondo simbolismo assegna una parte essenziale al ciuco, fedele amico di Colui, che dalla vita dovea ricevere la maggior somma di delusioni e di dolori e dalla morte la maggior luce di gloria. Pazienza, bordone per i passi stanchi, raggio di sole per l'anima ottenebrata, non a torto tu fosti proclamata prerogativa del più orecchiuto, ma del più disdegnoso fra gli animali, dagli ancor più orecchiuti seguaci della beffa stolida e superficiale! L'assiomatica irritabilità dei poeti, trastullo retorico d'ogni studente di liceo, non è che l'apparenza effimera, sotto la quale si cela, appunto, la pazienza. Ed io so che, salvo poche eccezioni, dovute a capricci della sorte, le creature superiori trangugiano intiera la coppa del fiele prima di sfolgorar dal lor Golgota: io so che Dante dovè, chiusi gli occhi per sempre, attendere che il patrocinio di un Boccaccio gli aprisse la via al trionfo: so che Cervantes dovè veder, vivo, il suo Don Chisciotte interpretato come un libro di amena lettura e, solo dopo morte, sorridere amaro della troppo tarda ammirazione: so che la grande Elisabetta e il buon pubblico londinese doveron considerare Shakespeare come un semplice piacevole istrione, e stupirebbero, oggi, se, tornando al mondo, lo scorgessero circonfuso di gloria.


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Edgar Poe
di Pierangelo Baratono
Formiggini Editore
1924 pagine 58

   





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