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      E l'uno e l'altro appaiono come i supremi rappresentanti della disperata irrequietudine, dello stremante dubbio e dei delirii nostalgici, che s'abbatton sovra l'umanità quando l'anima sobbalzi fra le strettoie dell'involucro corporeo e l'esistenza sognata cozzi contro l'esistenza vissuta. L'eroe greco e il poeta parigino esprimono un uguale tormento: e la febbrile energia di Ulisse è solo in apparenza diversa dall'allucinata pigrizia di Carlo Baudelaire.
      Pigro, sì, fu Baudelaire: pigro come tutti gli artisti, che racchiudono nel lor cranio un mondo più ampio di quello esteriore. La visione del di fuori giova agli interpreti, non ai creatori; è necessaria a chi, semplice specchio più o meno terso, più o meno sfolgorante di luce, compia una missione di osservatore e di descrittore, non a chi possieda entro di sè, Minerva balzante su al cenno olimpico, un intiero universo. Gli artisti sublimi non han bisogno di navigare tra i confini del mondo poichè la lor anima già ospita un mondo senza confini. Per questo, appunto, essi vivon silenziosi e incompresi fra gli uomini, e per questo, ahimè, cercan così spesso di sfuggire all'incubo atroce della lor solitudine e di accomunarsi con la rimanente umanità adottandone i vizi propinatori di un'ebrezza obliosa.
      Glorioso e tremendo destino! Una stessa radice fa rampollare la forza, che permette a un Baudelaire e ad un Poe di esprimere, pur trascorrendo l'esistenza nel cupo monotono mondo delle città, le più luminose e varie e vaste visioni, e genera la debolezza, che all'uno dovea procurar la paralisi e all'altro il delirium tremens.


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Edgar Poe
di Pierangelo Baratono
Formiggini Editore
1924 pagine 58

   





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