II
I ricordi del vecchio Storno
Quella notte il vecchio Storno non voleva tornare a casa. Aveva già adempite le sue funzioni, come soleva chiamare con un po' d'orgoglio il facile incarico, che il giornale gli aveva dato. Si trattava di galoppare dalla stamperia alla stazione, trascinandosi dietro un carretto, caricato con pacchi di cartaccia stampata, ove, come diceva Storno maliziosamente, si rovesciavano ogni notte i pettegolezzi della città e dell'estero. Perciò, verso le due dopo mezzanotte i soliti vagabondi di Galleria e i giornalisti uniti in crocchio vedevano passare di gran corsa quel vecchietto robusto, col suo viso largo e pelato da bull-dog, i capelli grigi arruffati a ingombrargli la fronte tozza, il petto muscoloso e scoperto d'inverno come d'estate a dimostrare che qualche uomo gagliardo c'è ancora in questo basso mondo. Malgrado l'età egli era ancor svelto; soltanto una lieve incertezza nel portamento rivelava le tracce del tempo. Gli amici straccioni lo trattavano con deferenza, per paura di quelle due braccia grosse e sformate dall'esuberanza dei muscoli. Quanto ai giornalisti, e lo conoscevano tutti, spesso, sfruttando il suo debole per l'acquavite, lo invitavano a bere e tra un bicchiere e l'altro stavano a sentire le panzane e le smargiassate, che uscivano da quella bocca un po' sdentata.
Dunque, quella notte il vecchio Storno non voleva andare a letto. Gironzolava per la Galleria con le mani nelle tasche dei calzoni e con un mozzicone di sigaro fra le labbra, e pensava con dispetto a quella sua stanzaccia in Ponticello, ove neanche un cane avrebbe dormito e che egli era obbligato, per giunta, a dividere con un compagno di miserie e di pene.
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