Ogni suo soffio penetrava fra le mura degli stretti vicoli a produrvi una specie di tromba, che turbinava da una parete all'altra delle straducce, agitando le fiammelle del gas, scuotendo le persiane mal chiuse, sfiorando i tetti e tentandone la saldezza delle lastre con una specie di curiosità maligna. Ogni apertura praticata nei muri era, per questo demone della tempesta, un ricettacolo e una materia di giuoco. Vi si rimpiattava con un sordo rumore, poi ne usciva fischiando per precipitarsi di nuovo, sbattendo lungo le case, verso le tenebre del quartiere. Intorno al corpo di Storno, immobile lungo la muraglia, si era formato un turbine, che infuriava tra i capelli del vecchio, dando a quella testa terrorizzata l'aspetto di una Medusa, gli sollevava il camiciotto, sbatteva in quel petto scoperto, giocava a rimpiattello fra le pieghe dell'abito. Una moltitudine di spiriti beffardi sembrava si divertisse a soffiare a pieni polmoni su quel corpo irrigidito.
Infine, Storno si incamminò di nuovo giù pel passo delle Murette, ma questa volta procedendo lentamente e appoggiandosi con le mani ai muri delle case. Le idee più tetre gli si agitavano nel cervello. Il ricordo della moglie sgozzata e quella spaventosa risata, che, a distanza di venti anni, si ripercuoteva alle sue orecchie con le stesse inflessioni, avevano sconvolto quell'uomo, già predisposto dall'acquavite a trascendere i limiti della ragione. Ora, gli sembrava d'essere il vecchio vagabondo delle tenebre, del quale aveva inteso parlare da bambino e che si diceva ogni notte di vento percorresse le strade più deserte di Genova ad agghiacciare di spavento i pochi nottambuli ritardatari.
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