Storno si lasciò cadere seduto sul terreno, le gambe sospese sull'abisso d'ombra, gli occhi imbambolati, fissi su quel profilo di arcata come a cercare in quella robustezza di muri un sostegno al suo accasciamento.
A poco a poco gli parve che tutto quel fianco del ponte dondolasse leggermente. I lati dell'arcata ora si avvicinavano uno all'altro con impercettibile moto, ora si scostavano di nuovo come ricacciati indietro dalle tenebre. Una ridda di ombre cominciò a infuriare innanzi allo sguardo del vecchio. Eran le pietre enormi del ponte, che impicciolivano e ingrandivano a vicenda, prendendo gli aspetti più disparati e grotteschi. L'arcata, ora, aveva assunta la forma di un grosso buco, dal quale usciva impetuosamente una fiumana di tenebre, vomitata da qualche titanico abitatore dell'antro. Anche il piano sottostante pareva si sollevasse, spinto da una magica forza, sino a toccare i piedi del vecchio, per poi ritrarsi rapidamente come un denso strato di nuvole. Il gran respiro della natura si rivelava al vecchio in una notte di ubbriachezza. Ogni cosa si muoveva intorno a costui, aveva contrazioni vitali, si avvicinava e si allontanava in un'alternativa di simpatia e di ripulsione. A momenti anche il corpo di Storno dava a questi l'impressione come di un aggruppamento di piccoli esseri, di minute particelle di esistenza, che volevano staccarsi una dall'altra, dissolversi nel movimento universale, per poi riunirsi a formare di nuovo quella consistenza di corpo umano, sperso impercettibilmente fra le tenebre della notte e l'immensità della natura.
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Storno
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