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      Ormai non pensava più a vendere il proprio corpo, ma si contentava di quella magra esistenza, che poteva permetterle lo scarso guadagno del padre adottivo. Due o tre volte soltanto, in un mese, essa scese in strada, di nascosto, per riportare a casa quel tanto da poter sollevare per qualche giorno la famiglia d'acquisto.
      Anche il Pinzi contribuiva alle spese bonariamente, con una specie di scrupolo da mendicante onesto. Egli provava per la Scarpette un affetto fraterno, poichè nel suo cervello di pazzo generoso e mite avea compresa quanta bontà si celava in quel cuore di donna, provato dalla fame e dal vizio. Un solo difetto le rimproverava di continuo, la troppa loquacità, che la spingeva a parlare senza tregua, fosse anche a qualche povero cane randagio. Un giorno le disse:
      — Dovevano chiamarti signorina Scilinguagnolo. Non ho mai udito in vita mia, neanche tra le grandi donne, che mi hanno onorato della loro amicizia, una chiacchera sciolta come la tua. Già, non comprendo come abbian potuto designarti col nome di Scarpette.
      Essa si pose a ridere e guardandolo maliziosamente rispose:
      — Sono i miei vecchi adoratori, che mi hanno affibbiato questo nome quando ero nei caffè-concerto. Andavano pazzi per me, appunto perchè portavo di solito delle scarpette basse con i tacchi esageratamente sviluppati. Li avresti dovuti vedere, tu, che sei un filosofo, con gli occhi fissi nelle mie gambe e con l'orecchie sospese al rumore delle mie scarpe sui palcoscenico. Un giorno potrò raccontarti delle cose spaventose.


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Genova misteriosa
Scene di costumi locali
di Pierangelo Baratono
pagine 280

   





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