— Sì, ch'egli m'ha rubata, dopo aver rovinato il mio corpo, la mia felicità. È un demonio, vi dico, ed ho paura che non si contenti del male, che m'ha già fatto.
— Potrebbe anche essere il mio uomo, l'assassino di mia moglie. E allora avremmo due vendette da fare in un tempo, interruppe Storno.
— Lui assassino! No, è troppo vigliacco. Non può essere lui!
— Un po' di calma, suonò Pipita con la sua voce stridula. Il vostro uomo io lo conosco e so anche dove abita, perciò non riuscirà a sfuggirci.
— Chi è, chi è?, chiese Storno.
— E un grosso commerciante di Genova e abita in via...
In quell'istante si avvicinò il padrone dell'osteria.
— E ora di sgombrare.
Pipita chiuse la bocca e pagò il conto. Poi prese la donna pel braccio, avviandosi verso la casa dei tre. Storno e il Pinzi, dato un rapido saluto alla coppia, si dilungarono a passo di corsa, l'uno per adempiere il proprio ufficio di cavallo da soma e l'altro per portare un articolo importantissimo alla redazione di un giornale.
Quando Pipita e Scarpette si trovarono soli, costei gettò le braccia intorno al collo dell'adolescente e gli disse:
— Tu m'aiuterai, non è vero?
— A far che?, la interruppe costui.
— A trovare quell'uomo.
— Sciocchezze!
La abbracciò per la vita e la rovesciò sul letto. Poi, senza darle il tempo di spogliarsi, la possedette brutalmente. Rialzatisi dopo la stretta i due si sedettero sul pagliericcio. Sembrava che Scarpette non pensasse più all'incidente della sera. Essa si trovava in un momento di quiete e non vedeva nulla, all'infuori del ganzo.
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