— E tu vivi in mezzo a quegli uomini?, gli chiedeva Augusta.
— Certo. Anzi, reputo a mia gloria d'esser considerato da essi come il re degli affari. Talvolta, con giuochi di Borsa, ho fatto guadagnare milioni ai miei amici.
— Sì, i tuoi amici ne son stati bene. Ma gli altri?
— Quali altri?
— Quelli, che han dovuto sborsare il denaro, da te e dai tuoi guadagnato?
— Eh, via! Non è il cuore che parla, in Borsa, ma l'ingegno.
Questi discorsi disgustavano la fanciulla, ancora impregnata della sua antica educazione all'aria libera, in diretto contatto con la natura, senza vincolo d'oro e d'interesse. Tuttavia, essa taceva le sue ripugnanze e le sue apprensioni, non volendo addolorare l'amante.
Un giorno Dario le condusse in casa due amici. L'uno si chiamava Renzo Sergenti; era un ricco e fortunato Borsista, uomo sulla trentina, di aspetto robusto e grossolano, sbarbato completamente e dai modi cortesi di orsacchiotto addomesticato. L'altro era un vecchio, il banchiere Agostino Priosa, lisciato, impomatato, con la faccia dall'espressione subdola e soddisfatta. Il Cerruti presentò i due ad Augusta come i suoi più cari amici. Da quel giorno spesso essi vennero in casa, anche in assenza del marito, imponendole la loro conversazione con quella famigliarità grossolana, che è propria dei ricchi affaristi. Augusta si accorse presto che il Sergenti le tendeva intorno le sue reti di seduttore. Ne parlò anche a Dario, che si limitò a crollare le spalle e risponderle:
— Lascialo fare ed usagli tutte le gentilezze, che puoi, trattandosi di un mio amico.
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