Essa tremava dinanzi all'enigma e diveniva superstiziosa pensando alla fine spaventevole dei suoi parenti.
Di quando in quando Bettina veniva a visitarla in fretta, portandole un po' di conforto. Lo spagnuolo vedeva con piacere quella ragazza allegra e spensierata e la trattava con grande gentilezza. Anche Bettina si trovava felice in mezzo a quei due amanti, nella quiete dolce di quell'appartamento, ove non penetravano curiosi nè importuni. Un giorno disse ad Augusta:
— Sei felice, tu, adesso. Vorrei poter trovare anch'io un giovanotto gentile e simpatico come il tuo spagnuolo.
Enrico Verdugos, sopraggiunto in quell'istante, udì le parole della ragazza e si pose a ridere. Tuttavia il suo sguardo ebbe come un lampo di compiacenza posandosi sul volto lievemente infuocato di Bettina. Da quel giorno egli trattò costei un po' freddamente, pur non ristando dall'usare i suoi soliti modi gentili.
Finalmente, dopo tre anni di insegnamento, Augusta venne condotta dal suo amante nello studio di un agente teatrale. Lo studio, a dire il vero, non meritava un tal nome. Era una stanzaccia disadorna, nella quale per unici mobili c'erano un tavolo e qualche sedia. L'agente, certo Carlo Bruni, aveva un viso improntato di sfrontatezza e di astuzia.
Era un bel giovane, robusto e largo di spalle coi capelli lunghi un po' in disordine e un paio di baffi biondi, volti all'insù e accuratamente pettinati. Fissò gli occhi su Augusta e cominciò a interrogarla.
La ragazza, ora, si era fatta donna. Le sue forme, un po' magre, rivelavano però contorni squisiti.
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