— Scarpette! Scarpette! La signorina Scarpette!
Il nome inventato lì per lì e pronunciato con un orribile accento inglese, fece furore. Fu un solo urlo per tutta la sala:
— Viva la signorina Scarpette!
Da quella sera non fu dato altro appellativo ad Augusta. Essa ne rise, dapprima; poi, finì con l'adottare il soprannome, che la lusingava in una sua mania.
Passarono i quindici giorni della sua scrittura, durante i quali essa fu la regina del Cafè. Il proprietario, visto l'entusiasmo degli avventori, le propose un contratto a migliori condizioni per un mese. Essa accettò, riconoscente. Allorchè ebbe partecipato al Verdugos la sua nuova fortuna, costui esclamò:
— Ne son lieto! Così, non potrai mancare di nulla!
Poi parve imbarazzato di quanto aveva detto. Augusta non badò alle sue parole; essa era entusiasta e già si riprometteva un avvenire pieno di denaro e di trionfi. Quello, come questi dovevano, però, crearle nuovi pericoli e costarle ben cari.
Costretta, com'era a frequentare le prove, essa trovava assidui presso di lei nei locali del «San Martino» e nella quasi solitudine diurna il Bruni e quello stesso grasso individuo, che pel primo le aveva affibbiato il nome di signorina Scarpette. L'uno le parlava continuamente di amore in termini appassionati, che a mala pena celavano l'altezzosità dell'animo; l'altro le parlava di denari, con una voce cavernosa e cincischiata, che la faceva ridere e pensare. Essa era lusingata della corte, che le faceva il Bruni, giovanotto ben visto e disputato dalle donne di quell'ambiente per il suo stesso temperamento sprezzante.
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