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      — Perdonami... ho dimenticato... non volevo far male... non ho fatto nulla, te lo giuro! Non mi ammazzare, non mi ammazzare... ti amo, Giorgio, lo sai... non è successo nulla... te lo giuro... te lo giuro.
      Giorgio continuava a guardarla. Lesse nei suoi occhi la sincerità della paura e dell'ubriachezza e si sentì disposto a perdonarle. Augusta continuava a piangere, abbattuta per terra, inframezzando le parole alle lagrime.
      — Ti giuro... sei tu il mio amore. Con gli altri non sentirei più niente. Soltanto tu mi puoi far godere... Giorgio... Giorgio... non mi ammazzare. È l'ultima volta... e non è stata mia colpa.
      Giorgio la prese per le ascelle e la obbligò a sedersi sul letto. Poi, tenendole gli occhi fissi nel viso e le mani sulle spalle, le chiese:
      — Racconta.
      — Ecco. Ti dirò tutto. Ho trovato il Trincia, ieri sera, quel tuo amico pittore. Un ragazzo, sai. Mi ha invitata a bere. Abbiamo discorso, poi ci siamo trovati insieme a delle antiche conoscenze e siamo andati a cenare. Mi è passato il tempo. Volevo venire, me lo hanno impedito. È così, ti giuro. Non ho fatto nulla. Qualche bacio, null'altro. E poi, chiedilo al Trincia.
      Si era piegata sul petto di Giorgio, il corpo scosso dai singhiozzi. Costui le rialzò il viso e la baciò in fronte. Augusta gettò un grido e gli si abbandonò tutta, mormorando:
      — Ti amo, ti amo, lo sai.
      Quella fu l'ultima notte di tenerezze e di passione. Il domani Giorgio condusse Augusta a pranzare in un ristorante, che c'è in piazza Marsala e che viene comunemente detto del «Rosso». È un ritrovo comodo, con un padiglione di verzura e protetto contro gli sguardi indiscreti da un'inferriata, sulla quale si arrampicano fitti arboscelli.


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Genova misteriosa
Scene di costumi locali
di Pierangelo Baratono
pagine 280

   





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