Un odore di carne fresca dovunque e di sangue sparso, un'acre ventata di lussuria, che fa allargare le narici ai vagabondi sotto le finestre chiuse e illuminate dei ricchi.
Questo, soltanto questo! Era un martirio intollerabile. Avrei urlato di dolore, avrei pianto di rabbia, mi sarei gettato addosso a quell'omaccione a batterlo con impeto di ribellione, di difesa impossibile e pazza di una donna che non mi aveva chiamato in suo aiuto.
Dovetti abbandonare il teatro per non cedere alla tentazione.
Di fuori, l'incubo continuò. Mi passavano innanzi coppie, che passeggiavano a braccetto con apparenza amichevole, l'uomo brutto, vestito con lusso, il più delle volte col cranio calvo e il collo grosso e corto, la donna pallida, delicata, gli occhi dolci e rassegnati. E passavano anche donnette sole, belle malgrado l'artificio della pittura, che precedevano di pochi passi qualche vecchio impomatato, ripugnante compare dal volto gonfio e bitorzoluto e dalla espressione ipocritamente libidinosa.
Una grande pietà mi stringeva la gola e anche una stizza prepotente contro quelle creature che, in fondo, accettavano umilmente la loro parte di carne venduta, senza un istante di rivolta, pazienti come pecore sotto il coltello del macellaio.
Più volte rividi la mia coppia del teatro. Una sera, non ricordo più come, venni posto in relazione con essa. I miei castelli in aria prendevano forma; avevo intuito esattamente la condizione di quei due esseri. L'uomo era un ricco negoziante e aveva sposata lei, povera e di famiglia nobile.
| |
|