I suoi sguardi caddero in quel punto, sovra una targhetta d'ottone, che portava incisa la scritta: «Giovanni Maglino, sarto».
Possibile? Era quello, dunque, l'amico di Augusta Brendel, il suo unico protettore, che l'aveva educata fanciulla e l'aveva amata come un padre? Una grande tenerezza s'impadronì dell'animo del giovanotto, che si sentì spinto a stringere sul suo petto quell'indemoniato in veste da camera. I suoi gesti non fecero che provocare sempre più la stizza del magro personaggio, che sarebbe trasceso agli atti più disperati, se non avesse udita suonare ad un tratto la frase:
— Signor Maglino, mi ascolti, in nome di Augusta Brendel!
V
Due piccioni e una fava
Il sarto, udita appena la magica frase, che, gli ricordava improvvisamente un passato di rapide gioie e di violento dolore, cambiò totalmente aspetto.
Preso il Perroni per un braccio, lo trascinò in un salottino appartato, agitando la testa e lasciando sfuggire una specie di rantolo cavernoso. Non diede il tempo all'altro di sedersi, ma lo gettò vigorosamente sovra una poltrona; fatto ciò si pose a sua volta dinanzi al giovanotto, sprofondando il magro corpo in una specie di seggio regale, grande a dismisura e imbottito più che a sufficienza. Poi, cominciò a parlare:
— Dite! Che sapete voi? E qual diritto avete di parlare di Augusta?
La sua voce era stridula e dura. Tacque un istante, poi ripigliò con una specie di singhiozzo:
— Augusta! Gusta! Gustina! Micino mio!
Pareva parlasse a qualche fantasma del suo pensiero. Le sue dita bianche e lunghe avevano gesti vaghi di carezza.
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