La sua papalina era quella, che doveva scontare ogni pena, poichè obbligata ad ogni istante ad assumere le più disparate posizioni ed a volteggiare per l'aria sino a toccare spesso il soffitto.
Quando il giovanotto ebbe finito di parlare, Maglino lo afferrò per le ascelle, lo obbligò ad alzarsi e se lo strinse sul petto, piangendo.
— Siete un brav'uomo, voi. Perdonatemi il trombone, come io vi perdono la morte di Cicco e il mio spavento di oggi.
Uscì un momento, per ritornare subito, tenendo trionfalmente in mano gli occhiali a stanghette del Perroni.
— E cosa vostra. Prendeteli!
Ma il Perroni fu pronto ad aggiungere un po' commosso:
— No, teneteli voi. Sono la causa della nostra amicizia e della buona novella, che vi ho potuta apportare. Serbateli per memoria.
Il Maglino si era di nuovo seduto, non senza aver prima gettato qua e là qualche vigoroso pugno per l'aria.
Stette per un po' silenzioso, con gli occhi chini a terra e accarezzando con le mani le lenti del suo nuovo amico.
Infine, borbottò:
— Sapete? La signorina Scarpette io la conosco, l'ho vista una sera al «San Martino». Mi ha subito ricordato Augusta. Ma ho pensato, stupido ch'io sono!, che forse quella ragazza era la sorella della mia bambina e non ho voluto avvicinarla per non rinnovare i miei ricordi dolorosi. Perché dovete sapere che Augusta aveva una sorella, più grande di lei di due anni e che venne messa in orfanotrofio appena nata.
Si alzò di nuovo, strinse fra le sue le mani del Perroni, poi gli disse, singhiozzando:
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