I medici, che mi circondavano, erano o troppo indulgenti o troppo severi; inoltre trattavano ogni individuo nello stesso modo, nè comprendevano che in certi casi occorre molta dolcezza e in altri una buona dose di fermo rigore.
La differenza di temperamento in coloro, che avrebbero dovuto usare ogni cura per la nostra guarigione, si rivelava spiccatissima nel direttore e nel vice-direttore, il primo magro al fisico e aspro al morale, il secondo grasso e buontempone, sorridente sempre alle nostre anche più dannose stranezze.
In tal modo, a seconda delle ore, noi eravamo soggetti al freddo e al caldo di quei due chiusi, volta a volta bistrattati e accarezzati, sottoposti a un metodo di sorveglianza e di cura violento o dolcissimo.
Gli inservienti rispecchiavano fedelmente l'umore dei loro capi, quantunque la maggioranza si attenesse più al rigorismo, spinto talvolta sino alla crudeltà, che alla temperata benevolenza.
In qualcuno fra questi brutali esecutori di una volontà superiore si convergeva l'odio dei miei compagni di pena, che non si lasciavano sfuggire l'occasione per rendere pan per focaccia ai loro aguzzini e rispondere alle bastonate coi pugni. Parrà cosa quasi incredibile; ma talvolta io stesso fui soggetto alle percosse di quei manigoldi, connivente inconsciamente o no, qualche medico.
I nostri dottori sopportavano allegramente il continuo contatto coi pazzi e pareva si fossero formata sul nostro conto una spiritosa opinione. Infatti bastava che noi aprissimo bocca perchè quelli assumessero un'aria di curiosità sprezzante, prendendo spesso per stravaganze e paradossi pazzeschi quelle frasi, che racchiudevano in sè più giudizio, di quanto potessero averne essi stessi.
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