E voi credetemi ancora pazzo, se fra i discorsi, che desidero riferirvi, non troverete un sapore curioso di verità e di poesia.
Era una Pasqua, giorno in cui potevamo radunarci tutti, eccettuati i furiosi, nell'ampio cortile a scambiar parole e a far chiasso. Eravamo una ventina, dalle fisonomie e dai modi più disparati.
C'era qualche giovane, molti avanzati in età e tre donne, alle quali era stata concessa, per quel giorno, la nostra compagnia. S'udiva un baccano infernale e risate e strida, che facevano arricciare il naso dei custodi e aggrottar le sopracciglia dei medici. Qualcuno vendeva mercanzie immaginarie, altri scaldavano la pancia al sole trinciando gesti e sputando sentenze.
Due o tre discutevano insieme animatamente sovra i soggetti più paradossali. A un tratto, un vecchio dai capelli ricci e dal viso ingombro di pustole, fattosi largo sino al centro del cortile, urlò:
— Compagni, occorre un tribunale per trattare le più urgenti questioni. Uscieri, intimate il silenzio e annunziate che la Corte di Giustizia sta per aprire le sue porte ai poveri mortali.
Il silenzio si stabilì immediatamente in quella turbolenta riunione. La curiosità e più ancora la facile suggestionabilità dei mentecatti li induceva a sospendere per un istante i discorsi ed a prendere parte al nuovo giuoco. Il vecchio ripigliò a parlare:
— Noi, Padre Eterno, in nome delle sante leggi, che governano il mondo, intimiamo, a quanti si trovano a noi innanzi, il perdono degli oltraggi e che ciascuno si discolpi, alla nostra presenza, della sua nascita e del suo modo di vivere.
| |
Pasqua Corte Giustizia Padre Eterno
|