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      Ero solito recarmi in casa di Sofia Brendel nelle ore del pomeriggio, allorchè il marito si trovava costretto a presenziare il suo stabilimento. La mia amante mi attendeva in un salottino, immerso nella penombra, poichè essa provava soddisfazione a sentirmi parlare fra le tenebre e ad ascoltare le più bizzarre frasi, che la mia bocca poteva formulare, come se derivassero da qualche demone dell'oscurità.
      Un giorno, presentatomi all'ora consueta, mi vidi sbarrare il passo da una cameriera, che, trattomi in disparte, mormorò:
      — Perdoni; la signora è uscita e mi ha incaricata di scusarla per la sua assenza involontaria.
      Un lampo di malizia traversò gli occhi della forosetta. Già sospettoso, mi convinsi in quel punto che Sofia era in casa e non voleva ricevermi. Perciò, senza attendere altre parole, forzai la consegna e m'inoltrai con passo fermo e con animo risoluto. La porta del salottino era chiusa. Non so quale pazza idea mi spinse a bussare fortemente a quell'uscio, che avrebbe dovuto rimaner chiuso per sempre. Si udì la voce di Sofia, di dentro, che chiedeva, un po' ansiosa:
      — Che c'è?
      Non risposi e bussai di nuovo.
      — Virginia, suonò ancora la voce, che è accaduto? Forsechè il sor Gianni non vuole andarsene?
      Rattenni a stento un urlo di rabbia. Pure, parlando piano e tentando di imitare l'intonazione della cameriera, sussurrai: — Signora, mi apra. Devo dirle qualcosa.
      L'uscio si schiuse dolcemente. Sofia apparve nell'ombra della stanza.
      Mi vide subito e divenne livida in volto. Tentò di chiudere la porta, ma non riuscì poichè la mia mano glielo impediva.


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Genova misteriosa
Scene di costumi locali
di Pierangelo Baratono
pagine 280

   





Sofia Brendel Sofia Sofia Gianni