Due giorni dopo il tragico suicidio del Brendel mi alzai dal letto, ove mi aveva inchiodato la febbre. Mi venne fra le mani, per prima cosa, una lettera di Sofia. Essa mi scriveva:
«Amico, ho agito verso di te con una leggerezza imperdonabile. Pure, se la morte di mio marito e l'aver io licenziato il Cerruti possono scolparmi a sufficienza ai tuoi occhi, ti prego di venirmi a trovare al più presto. Ho bisogno di parlarti e anche, perdonami il sacrilegio, di amarti. Sofia»
La lettera non mi meravigliò e tanto meno mi commosse. La trovavo naturale e, sebbene sapessi d'esser io la causa della morte del Brendel, non esitavo a darle fede. Ero, come potrete accorgervi, un impasto di ingenuità e di incoscienza.
Anzichè ripugnarmi, quell'invito, fattomi da una adultera, il cui sposo si era ucciso due giorni prima, mi lusingava. Tuttavia, volli mostrarmi fiero e non risposi, nè mi recai a visitare Sofia.
Ricevetti ancora qualche biglietto, nè mi curai di accondiscendere alle preghiere della mia ex-amante.
Passarono, così, due mesi in un armistizio per me piacevolissimo. Seppi, frattanto, che Sofia aveva venduto il negozio e che continuava a tenere aperti i suoi saloni, ricevendovi, però, tutt'altre persone delle antiche conoscenze. Mi avvertirono anche, in segreto, che si spargeva la voce di una relazione amorosa tra Sofia e un vecchio conte della Russia, ricco quanto giuocatore, il che voleva dir molto. Anche questa notizia non mi scosse: la prevedevo, poichè sapevo la mia amante troppo ambiziosa per potersi accontentare di ciò, che le aveva lasciato il marito.
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