Un giorno venne a trovarmi in casa la piccola Augusta, la figlia dei Brendel, accompagnata da una cameriera. Sofia sapeva ch'io amavo quella bambina e l'aveva fatta messaggera di un suo biglietto. Sperava in tal modo, ch'io non avrei osato rifiutarmi più a lungo di visitarla.
Augusta era una bambina pallida e delicata, dai grandi occhi azzurri e ricca di quella grazia ingenua, che il suo temperamento sensibile e la sua età le donavano.
Io simpatizzavo molto con lei e mi compiacevo nella sua conversazione, nuova e interessante per un essere pervertito, che nel contrasto stesso poteva trovar motivo di sorpresa e di letizia.
Tuttavia non avevo mai cercato di entrare nell'intimità di quella bianca creaturina, ritenuto da un senso di paura e di compassione. Temevo di appannare il terso cristallo della sua anima, avvicinandomi troppo.
— Signor Gianni, mi disse la bimba fissandomi con i suoi occhioni espressivi, la mamma è molto adirata con lei.
— Perchè, Augustina?
— Non lo so. Dacchè il babbo è morto, essa non fa che parlare di lei e lamentarsi della sua assenza.
Il visetto le si rannuvolò un poco. Stette pensierosa qualche minuto, poi ripigliò, balbettando:
— Com'è morto il babbo? Lo sa, lei? Nessuno me lo vuol dire.
Non osai risponderle. Avevo timore innanzi al suo sguardo chiaro. Essa continuò, con un tremito nella voce:
— L'ho visto, quella sera, nel suo letto grande. Era nella penombra ed aveva il viso bianco e gli occhi spalancati. Pure, non si muoveva, ma accennava a me con un sorriso, come se avesse voluto dirmi qualcosa e non potesse parlare.
| |
Augusta Brendel Gianni Augustina Sofia
|