Sono ben pochi, caro Perroni, e paiono uccelli spersi in un paese di orsi. Pure, talvolta si ritrovano insieme e allora tentano di scordare quell'orribile atmosfera utilitaria, che li racchiude. Ho conosciuto un giovane scultore, bello come un dio, dalla facile parola e dal gesto sapiente. Egli parlava della sua arte e si guardava attorno fiducioso, non volendo osservare i volti indifferenti nè udire le parole di scherno. Ho conosciuto anche un pittore, giovanissimo, che nei lineamenti feminei ricordava i confidenti di Enrico III. Era anch'esso una creatura spersa dietro il suo sogno. Qualche poeta, qualche letterato completavano il gruppo. Essi erano, per me, i veri pionieri della civiltà, coraggiosi ed audaci nel paese del denaro, che univano i loro sforzi generosi per scuotere la cappa di piombo dell'apatia. Li vedevi passare fra mezzo i commercianti come simboli di bellezza; parlavano dolcemente o con forza, poco curandosi degli uditori. Ciascuno aveva da dire una parola sua, ciascuno usava la propria forza messianica per convincere. Ahimè! Quanto ingegno perso! Quante fatiche, quanti anni laboriosi per giungere ad un risultato!
Conobbi anche un'altra specie di intelligenti, simpatica e originale: i gufi. Essi sono un po' come i vagabondi. Amano camminare per le vie abbandonate delle campagne o lungo il mare, seguendo nel gioco dell'immaginazione un sogno sempre sfuggente, eppure caro alle loro anime malate di sentimento. Quelli, però, cercano le strade soleggiate e il greve calore del giorno.
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Perroni Enrico III
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