Sorrisi e non gli credetti.
Un poeta come lui non poteva incontrare nella vita la felicità del matrimonio. Fin dalla stessa sera riprendemmo le nostre antiche passeggiate pei campi. Però il mio amico sembrava ogni volta più melanconico e stanco. Si trascinava più che non camminasse.
Una sera mi confessò che la moglie non era contenta delle sue assenze notturne. Finimmo col non più uscire dalla città. Il mio amico voleva tornare a casa presto, diceva, perchè aveva da lavorare; e poi, non si sentiva più in forza. Lo accontentai.
Solo qualche volta restavamo ancora insieme sino a tardi. Ma, anzichè incamminarci all'avventura pei campi, preferivamo andarci a sedere al «Catenaccio», quella trattoria, nella quale, dopo mezzanotte, si radunano forestieri ubbriachi, sfrontati giovinastri e basse donnine dalle vesti smaglianti e dagli occhi sonnolenti. Ci raccoglievamo in stanze puzzolenti di cucina, intorno a tavole imbandite con un falso lusso di argenteria galvanica. Il mio amico veniva volentieri, con me, in quel ritrovo. Io notavo con terrore in lui uno strano cambiamento. Era sempre lo stesso visionario; ma aveva in più un'allegria malaticcia, che lo sforzava a intromettersi con la sua voce stridula nei discorsi volgari delle donne. Mangiava e beveva molto, con un'avidità paurosa di cane vagabondo.
Guardandolo, sentivo crescere sempre più in me un dubbio doloroso. Cercai di indurlo a parlarmi della sua casa. Si rifiutò a lungo; infine, una notte, ubbriaco mi disse brevemente che la moglie lo batteva quasi sempre, quand'egli tornava a casa troppo tardi.
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