A udirle cinguettare o, a meglio esprimermi, gracchiare le loro sciocche parole, esse ricordavano un gruppo di galline posto su ricchi tappeti.
Gli occhietti luccicanti, le guancie infuocate, esse si beavano nella soddisfazione di un amor proprio, che avrebbe trovato, certo, posto pił acconcio in una economica casetta e nella cura assidua dei bambini. Abbiamo detto che tutti si somigliavano e ci siamo sbagliati. Fra mezzo a qualche circolo di gonne si delineavano delle personcine graziose ed affascinanti, fra le altre una signora alta e magra, dagli occhi profondamente luccicanti e cerchiati di un'ombra nera, dalla bocca sanguigna e dal naso un po' forte, ma a linee risolute. Non era una bellezza, ma riusciva simpatica a primo colpo d'occhio. Si chiamava Anna Vincigli ed era moglie di un buon avvocato e laureata anch'essa. Poteva avere venticinque anni.
L'elemento mascolino era composto di uomini grossi, dalle mani enormi e dai nasi bitorzoluti e di giovanotti riproducenti, in gran parte, il tipo, ringiovanito, dei padri.
Descriviamone qualcuno. C'era il figlio del milionario Sberta, un pezzo di ragazzone dalle larghe spalle e dal viso ebete di biondo slavato. C'era il Pollini, un cretino, che si credeva grande compositore e aveva un muso da cane e maniere da facchino. C'era l'avvocatino Sicci, testa da parrucchiere, ossa grosse, un'aria addormentata. E il Benda con la sua eleganza forzata e il corpo da cicogna, e il Saggino, piccolo e paffutello, e il Maresi e il Lomma e il Bindelli.
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Anna Vincigli Sberta Pollini Sicci Benda Saggino Maresi Lomma Bindelli
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